Cassazione 5086/2011
La piscina non espone il cartello “vietato
tuffarsi”: è responsabile del danno
24 marzo 2011
avverso la sentenza n. 1160/2008 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, Sezione Seconda Civile, emessa il 03/07/2008, depositata il
22/07/2008; R.G.N. 2985/2005; udita la relazione
della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/02/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO; udito l’Avvocato LORENZO
SCARPELLI; udito l’Avvocato ERMANNO BUIANI; udito il P.M.,
in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del
ricorse principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Fatto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
1.
B.C., che, all’età di
quindici anni, aveva riportato gravissimi danni in esito ad un tuffo in una
piscina, nella parte in cui l’acqua era alta novanta cm, conveniva in giudizio
la società (S.B: Sporting
club soc. coop. r.l.)
che gestiva la piscina, chiedendo il risarcimento ex art. 2050 c.c., e, in subordine, ex art. 2043 c.c..
Nel
contraddittorio con la società e della Lloyd
Adriatico Spa, chiamata in giudizio dalla società in manleva, il Tribunale, esclusa la responsabilità ex art.
2050 c.c., accoglieva la
domanda ex art. 2043 c.c., riconoscendo il concorso
di colpa della danneggiata nella misura del 30%, e un risarcimento pari a circa
Euro 1.100.000,00, oltre accessori; dichiarando l’assicurazione tenuta a tenere
indenne l’assicurata nei limiti del massimale.
2.
L’appello proposto dalla società, nel contraddittorio anche con l’assicurazione
che aveva chiesto l’estromissione dal giudizio avendo transatto la lite con la
società, veniva deciso (sentenza 22 luglio 2008) con
il rigetto della domanda della B. e la dichiarazione di assorbimento della
domanda di garanzia proposta dalla società nei confronti dell’assicurazione.
3. Avverso
la suddetta sentenza
Ha
resistito la società, proponendo ricorso incidentale subordinato, cui ha
resistito con controricorso
4. La sentenza impugnata ha
rigettato la domanda sulla base delle seguenti argomentazioni:
a)
l’esclusione della responsabilità, ex art. 2050 c.c., della società che gestiva la piscina, affermata dal primo
giudice, è coperta da giudicato interno;
b)
è contraddittoria la sentenza di primo grado in cui riconosce l’insidia o
trabocchetto e la corresponsabilità della parte lesa, oltre a non essere
pertinente il richiamo all’insidia o trabocchetto, riferibile alla
responsabilità della PA;
c)
il nesso eziologico tra evento lesivo e colpa del
gestore della piscina è escluso dalle modalità del sinistro: l’essersi la
ragazza tuffata dal bordo dove l’acqua era bassa; la non allegazione, e la non
emersione, di anomalie su colorazione e trasparenza
dell’acqua;
la ordinaria
frequentazione e la conoscenza della piscina, dove nello steso giorno aveva
giocato con la sorella nella parte bassa;
d)
la mancanza di cartello segnaletico dell’altezza dell’acqua e del divieto di
tuffarsi (cartelli, peraltro non obbligatori) non ha rilevanza causale, attese
le modalità del tuffo, a capofitto (secondo c.t.u.),
le condizioni soggettive della vittima (esperta nuotatrice e frequentatrice
piscina) e il principio di autoresponsabilità
valevole per i frequentatori (senza che possa rilevare l’età, non potendosi
dire immatura a 15 anni.;
e)
non risulta provato che la vittima avesse eseguito
prima altri tuffi del genere senza che il bagnino la ammonisse, nè che il tuffo dai bordi fosse normalmente tollerate dai
bagnini, stanti le risultanze opposte delle testimonianze;
f)
l’evento è attribuibile solo all’azzardo della vittima.
5.
Il motivi di ricorso primo, secondo, sesto settimo e
ottavo sono inammissibili, risolvendosi in enunciazioni di carattere generale e
astratto, prive di specifiche indicazioni in relazione alla fattispecie
concreta; inidonee a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza
impugnata in riferimento alla concreta fattispecie; nè
potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con
il secondo, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 c.p.c.
(Cass. s.u. n. 6420 del
2008).
6.
Con il nono motivo la ricorrente sostiene prospettando
la violazione dell’art.
Il
motivo va rigettato. L’impossibilità di configurare la violazione dell’art. 112
c.p.c., per omessa diversa
qualificazione della domanda proposta in giudizio, discende linearmente
dall’ambito e dai limiti del potere di qualificazione del giudice di merito, oltre
che dalla ratio perseguita dall’art. 112 c.p.c..
Nell’esercizio
del potere di interpretazione e qualificazione della
domanda, il giudice di merito ha il potere-dovere di accertare e valutare il
contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile dal tenore letterale
degli atti, dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle
precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonchè
dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, proprio con il limite della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio
un’azione diversa da quella esercitata (Cass. n. 15802 del 2005). D’altra
parte, la possibilità di far valere la violazione dell’art. 112 c.p.c., per la pronuncia su una
domanda non proposta o per omesso esame di una domanda proposta, è proprio a
presidio del principio dispositivo che fonda il processo civile.
7.
I motivi terzo, quarto e quinto, possono essere
trattati congiuntamente per la loro stretta connessione e vanno accolti.
La
ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non obbligatoria
la segnaletica di pericolo nella piscina e, comunque,
ha escluso qualunque rilevanza causale di tale mancanza (art. 2043 c.c., comma
7.1.
Effettivamente, il giudice di merito ha erroneamente ritenuto che la mancanza
di una normativa specifica, che imponesse al gestore
della piscina la collocazione di cartelli (indicatori della diversa profondità
e del divieto di tuffi dove l’acqua era bassa), escludesse la configurabilità di un comportamento colposo in capo al
gestore.
Infatti,
l’apposizione di mezzi idonei a segnalare la profondità della piscina e di un
esplicito cartello per vietare i tuffi, dove la profondità non li consente in
sicurezza, risponde alle comuni regole diprudenza,
specificate nei confronti del gestore della piscina, volte ad impedire il
superamento dei limiti del rischio connaturato allo svolgimento dell’attività
sportiva.
Nessun
rilievo può avere, quindi, la mancata elencazione di tali obblighi in norme
primarie o secondarie, o in norme elaborate dagli
organismi sportivi di riferimento. La loro eventuale esistenza non farebbe
altro che codificare generali norme di prudenza rispetto a chi, per la natura
dell’attività svolta, è tenuto a garantire l’incolumità fisica degli utenti
nell’organizzazione della propria attività economica.
7.2.
Inoltre, il giudice da un lato, non ha, erroneamente,
attribuite alcuna valenza causale a tale omissione rispetto all’evento,
dall’altro non ha motivato adeguatamente la ritenuta totale riconducibilità dell’evento alla vittima.
Invero,
alla luce del consolidato criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla
base della quale, all’interno della serie causale,
occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione
ex ante – del tutto inverosimili, non può negarsi che non è inverosimile
l’ipotesi che, in presenza di idonei segnali di pericolo, il comportamento
dell’uomo medio, e, tanto più quello di un’adolescente, avrebbe potuto essere
più accorto sino ad arrivare ad escludere il compimento del comportamento
vietato.
Inoltre,
la decisione censurata difetta di completa e adeguata motivazione laddove
attribuisce l’evento al solo comportamento azzardato della vittima, senza
spiegare se il tuffo è avvenuto dal lato corto o lungo della piscina. Dato di
non poco rilievo, se si considera che dal primo l’acqua della piscina era senz’altro bassa, mentre dal secondo la profondità
dell’acqua non era omogenea, con conseguenti ripercussioni sulla valutazione
del comportamento colposo della vittima e della mancata presenza di segnali.
Pure incompleta risulta la motivazione, laddove
attribuisce valore assoluto alla perfetta conoscenza della piscina da parte
delle vittima e alla sua esperienza come nuotatrice, sostenendo, quanto al
profilo di maturità psicologica della vittima, che “non si può dire che l’età
della ragazza fosse immatura al punto tale da non consentirle di comprendere
l’azzardo”, laddove propria la giovanissima età avrebbe consigliato, secondo l’id quod plerumque
accidit, una maggiore prudenza nella valutazione.
8.
La società ha proposto ricorso incidentale subordinato, prospettando la
violazione dell’art.
Sulla
base del principio pacifico, secondo cui “La parte totalmente vittoriosa in
appello (o nell’unico grado di merito) è legittimata a proporre ricorso
incidentale solo nella ipotesi in cui intenda riproporre
in cassazione l’eccezione del giudicato interno, mentre in tutti gli altri casi
è priva di interesse processuale al ricorso.
Essa
può, peraltro, con riferimento alle domande od eccezioni
espressamente non accolte dal giudice di merito, proporre ricorso incidentale
condizionato all’accoglimento, almeno parziale, del ricorso principale, giacchè in tale ipotesi, per effetto della cassazione della
sentenza impugnata, viene meno la sua posizione di parte del tutto
vittoriosa, sorgendo, in tal modo, l’interesse all’impugnazione. Invece, per le
domande o eccezioni non esaminate, o ritenute assorbite dal giudice di merito,
non è ammissibile neppure il ricorso incidentale
condizionato, in quanto sul punto non è stata pronunciata alcuna decisione, sicchè l’eventuale accoglimento del ricorso principale
comporta pur sempre la possibilità di riesame nel giudizio di rinvio di dette
domande o eccezioni” (da ultimo rg. 4541 del 2009, ud. 24 gennaio 2011), il ricorso sarebbe stato
inammissibile dando rilievo alla prospettazione della
parte, che lamenta formalmente un’omessa pronuncia. Ma, il collegio ritiene
che, al di là della formale prospettazione,
la ricorrente lamenti, come emerge meglio dal quesito, un vizio di motivazione
della sentenza laddove non avrebbe dato conto delle eccezioni critiche svolte
in appello alla sentenza di primo grado, in ordine alla ricostruzione della
dinamica del fatto e alla assenza della segnaletica ai bordi della piscina.
Trattandosi, allora, di censura su mancato accoglimento di eccezioni,
il ricorso è ammissibile, ma va rigettato.
Infatti,
Lo
stesso giudice liquiderà le spese anche del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie
i motivi terzo, quarto e quinto, dichiara
inammissibili i motivi primo, secondo, sesto; settimo e ottavo, nonchè rigetta il nono motivo del ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Cassa
la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e
rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di
Firenze, in diversa, composizione.
Così
deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il
2 marzo 2011